Giuliano Montaldo, regista

Un ricordo di Giuliano Montaldo che avrebbe compiuto oggi 94 anni

Giuliano Montaldo nell’intervista rilasciata a Mario Canale nel 1989 parla del suo nuovo film, Tempo di uccidere, una storia ambientata in Etiopia nel 1936, quando un tenente dell’esercito di occupazione italiano incontra e violenta una bellissima e giovane indigena. Il regista spiega i motivi che lo hanno portato a girare in Zimbabwe e parla in seguito del racconto di Ennio Flaiano da cui è stato tratta la sceneggiatura; affronta poi la trama del film e infine le differenze tra questa esperienza e quella di sette anni prima quando per la televisione ha diretto otto puntate di una serie su Marco Polo.

 

Giuliano Montaldo tra gli anni Ottanta e i Novanta

Prima di firmare la sua prima regia, Giuliano Montaldo ha interpretato una decina di film come attore: da Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani, del 1951, a Cronache di poveri amanti, ancora di Lizzani, del 1954, da Gli sbandati del 1955, per la regia di Citto Maselli a L’assassino, di Elio Petri, del 1961, anno in cui, con Tiro al piccione, esordisce alla regia.

Dieci anni più tardi, nel 1971, firma quello che rimane il suo film più famoso, Sacco e Vanzetti, che vale a Riccardo Cucciolla, nei panni di Nicola Sacco, il premio per la migliore interpretazione al Festival di Cannes. Nel 1973 dirige Gian Maria Volontè nei panni di Giordano Bruno. Tre anni dopo, tratto dal romanzo di Renata Viganò, Montaldo porta sullo schermo L’Agnese va a morire con Ingrid Thulin come protagonista.

Nel 1982 dirige per la televisione una miniserie in 8 puntate, Marco Polo, mentre del 1987 è Gli occhiali d’oro, ancora tratto da un romanzo, questa volta di Giorgio Bassani. Tempo di uccidere è del 1989 mentre del 2011 è la sua ultima regia, con L’industriale che vale a Montaldo il Globo d’oro per il miglio film.

Negli anni Novanta il regista torna a vestire i panni dell’attore: Il lungo silenzio, di Margarethe con Trotta, Un eroe borghese, di Michele Placido, Il caimano di Nanni Moretti, L’abbiamo fatta grossa, di Carlo Verdone e Tutto quello che vuoi di Francesco Bruno che gli vale un David di Donatello come migliore attore non protagonista.

Un ruolo fondamentale nella produzione di Montaldo lo hanno avuto i documentari: da Genova: Ritratto di una città del 1964 al collettivo L’addio a Enrico Berlinguer del 1984 fino a Le stagioni dell’aquila, tratto dall’omonimo libro di Ernesto G. Laura, sui primi settant’anni di attività dell’Istituo Luce.