Le foto censurate del Reparto Guerra
Il 10 giugno del 1940 Mussolini annuncia alla nazione l’entrata in guerra. L'Arma più forte della propaganda, la cinematografia, doveva dare il suo contributo.
l’Istituto Luce, uno dei principali organi della propaganda fascista, in collaborazione con gli organi cinematografici dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, diede vita al cosiddetto “Reparto Guerra”. Il reparto aveva il compito di fornire la documentazione foto-cinematografica degli eventi bellici. E doveva farlo “con l’inoppugnabile obiettività dell’obiettivo”, come si scriveva in un articolo apparso nel luglio del 1940 su Lo Schermo.
I fotografi, gli operatori ed i tecnici delle 17 unità di ripresa, operative fino alla fine del 1943, sono in prima linea sui diversi fronti, sono a bordo degli aerei e sulle navi. Il LUCE all’inizio del 1942 ne mette in campo circa 60 e tra questi ci saranno anche dei caduti. L’Istituto conduce la sua guerra con i suoi uomini armati di cineprese e macchine fotografiche, che vengono esibite, in una sorta di autocelebrazione, come fossero armi, accanto a fucili e mitragliatori, spesso in delle vere e proprie pose.
Nonostante la sbandierata “obiettività dell’obiettivo”, tutti i materiali erano soggetti ad una rigida censura, che diede vita ad una specifica sezione di fotografie indicate come “riservate”. Le indicazioni del censore venivano riportate sulle stampe delle foto ed i negativi venivano archiviati con la dicitura “riservate” vietando la pubblicazione.
Nonostante la sbandierata “obiettività dell’obiettivo”, le foto di guerra erano soggette ad una rigida censura, che diede vita ad una specifica sezione di fotografie indicate come “riservate”.
La sezione delle foto riservate costituisce un fondo di 2581 negativi, a fronte dei 71648 negativi prodotti dal Reparto Guerra.
Le foto del Reparto Guerra e la sezione delle foto riservate sono in corso di catalogazione e sono parzialmente pubblicate online.
Le annotazioni feroci e esilaranti dei censori: “Sono soldati o accattoni?”. “Per fotografie di questo genere si scelgono dei bellissimi tipi di razza italiana”. “Se pubblicassimo foto di questo genere ci faremmo una bella figura!”
Diversi sono i criteri e rigide le regole con cui si procedeva alla censura delle fotografie. Una fotografia aveva su chi la osservava un impatto sicuramente maggiore rispetto ad una notizia letta; mostrare ad esempio la foto di un soldato morto, piuttosto che raccontarne l’eroica impresa che lo aveva reso martire, poteva creare destabilizzazione, dare la percezione della sconfitta. Così la morte e la violenza sono le prime categorie che i censori occultano. Ed allo stesso modo dei cadaveri anche il rientro in patria delle salme ed i funerali sono nascosti. Le immagini che provenivano dal fronte dovevano mostrare l’eroismo ed il valore dei soldati italiani, i veri protagonisti della vittoria. E pertanto non erano ammesse fotografie che dessero un’immagine troppo realistica: via i soldati privi di “fierezza”, via le divise strappate, via tutti gli atteggiamenti non consoni ad un soldato che deve vincere la guerra.
Feriti, morti e funerali non si devono far vedere. E la foto censurata del soldato che guarda terrorizzato il Duce diventa oggi una potente metafora.
Emblematica è l’immagine in cui Mussolini si reca in visita ai soldati feriti, i martiri, gli eroi di guerra, in un ospedale militare. Ad accoglierlo trova un soldato che lo guarda, ed in quello sguardo, così carico di ostilità e denso di paura, è racchiusa tutta la forza che una fotografia, più di tante parole può esprimere.
A cura d Emiliano Guidi, Archivio Fotografico Luce