La primavera di Praga

Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 i carri armati sovietici entrano in Cecoslovacchia: Praga è sola

Nella notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 i carri armati sovietici entrano nella capitale cecoslovacca e mettono fine alla Primavera di Praga. Dodici anni dopo la sanguinosa repressione in Ungheria le truppe del patto di Varsavia soffocavano il tentativo compiuto da Alexander Dubceck di riformare dall’interno il regime comunista.

Il Socialismo dal volto umano, come venne chiamato, prevedeva il riconoscimento delle libertà politiche, culturali e sindacali, la separazione fra partito e governo, la parità fra le diverse componenti etniche del paese. I lavoratori vennero coinvolti nel processo di democratizzazione attraverso la creazione di nuovi strumenti di democrazia di base.

In nessuna posizione ufficiale il partito Comunista Cecoslovacco aveva espresso la volontà di rompere l’unità del Patto di Varsavia. Anche per questo l’invasione fu accolta con sorpresa da una popolazione che aveva creduto di poter riformare dall’interno e dal basso un sistema che appariva ormai totalmente sclerotizzato e irriformabile.

Dopo l’invasione seguì un periodo di “normalizzazione”. A Dubcek subentrò Gustav Husak che in breve tempo annullò tutte le riforme del suo predecessore. Non mancarono casi di protesta, il più eclatante dei quali fu il suicidio del giovane studente Jan Palach, che il 16 gennaio 1969 si diede fuoco in piazza San Venceslao.

Dopo il crollo del muro di Berlino Alexander Dubcek ebbe la sua rivincita: fu riabilitato ed eletto presidente del Parlamento federale cecoslovacco. Morì poco dopo in seguito ad un incidente stradale.