Il documentario Luce va alla guerra

Archivio articoli, di redazione, 9 Novembre 2022

La seconda guerra mondiale nei documentari dell’Istituto Nazionale Luce

di Roland Sejko

«Ai primi di giugno, alla vigilia della nostra dichiarazione di guerra, gli organi cinematografici militari del Regio Esercito, della Regia Marina, della Regia Aeronautica e l’Istituto Nazionale Luce erano si può dire mobilitati: pronti ossia con il loro per- sonale specializzato e i loro mezzi tecnici a iniziare la precisa documentazione della nostra guerra» afferma il regista Fernando Cerchio nel suo articolo “Servizio di Guerra” apparso nella rivista “Cinema” il 10 luglio del 1940, esattamente un mese dopo la dichiarazione di guerra annunciata da Mussolini dal balcone di Piazza Venezia.

Il Luce era già stato ‘mobilitato’ in altre guerre con il documentario. La guerra d’Etiopia era stata raccontata tra altri con “La Battaglia dell’Amba Aradam” (1936) e soprattutto con “Il cammino degli eroi” di Corrado d’Errico, premiato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1936 con la Coppa del Partito Nazionale Fascista come miglior documentario. In tutt’e due i film viene messo in evidenza il ruolo della cinepresa come arma. Le macchine da presa sono delle “corazzate con le rotelle”, si dice nel primo. “La guerra non si vince solo con le armi” racconta un cartello nel “Cammino degli eroi”. Una macchina da presa con un lungo obiettivo posto tra due mitragliatrici lo illustra anche visivamente.

Dopo l’Etiopia è la volta della guerra di Spagna. Los novios de la muerte (1937), il film dell'aviazione legionaria nel cielo della Spagna, regia di Romolo Marcellini, operatore Mario Craveri (uno dei veterani della cinepresa) e testi del giornalista Gian Gaspare Napolitano è, a detta dello stesso Napolitano "il primo tentativo che si compie in Italia di portare il documentario cinematografico nel campo spettacolare". Marcellini, Craveri, Napolitano (da notare anche Domenico Paolella come assistente) sono una squadra rara, che rappresentano forse il meglio che il Luce può mettere insieme per la realizzazione di un documentario.

L’esperienza dell’organizzazione delle riprese e dei documentari bellici precedenti e soprattutto quelli realizzati dal Reparto Cinematografico Africa Orientale verrà ripetuta come schema anche per effettuare le riprese della nuova guerra. Il Luce organizza un Reparto Guerra costituendo diciassette unità di ripresa: presso l’Esercito, La Marina e l’Aeronautica. Il servizio cinematografico di guerra ha un duplice scopo: la documentazione storica e tecnica militare e lo spettacolo di propaganda. Con il medesimo materiale possono essere costruiti film dell’uno e dell’altro genere.

Il compito più immediato per rappresentare la guerra è assegnato al cinegiornale che si mette la divisa anche nei titoli - dal 1940 si reimpagineranno e si chiameranno ‘Cinegiornali di Guerra’ - ma rimarranno sempre dentro un racconto retorico e propagandistico. Si punta dunque sui documentari per avere “la vivacità e il nervosismo narrativo di un film di finzione” come i documentari tedeschi, più volte indicati come prototipi da studiare. Si crede anche che la drammatizzazione in forma documentaristica e il racconto a breve distanza degli accadimenti possa avere un impatto più forte nel pubblico. Non è un caso che a novembre del 1941 un decreto-legge obblighi la proiezione di un documentario prima di un film a soggetto, alla stessa maniera del “Giornale Luce”, obbligatorio dal 1927.

A differenza del cinegiornale il documentario deve cercare di dare un approfondimento più “cinematografico” della guerra. Per Corrado d’Errico il documentario Luce si distingue dal cinegiornale “dal punto di vista. In origine è una questione di fotografia e di inquadratura, cioè di interpretazione visiva. Diventa in seguito una questione tipicamente ritmica e musicale.” “Il documentario – conclude - per considerarsi riuscito deve mettersi fuori dalla cronaca”.

Ma qualsiasi tentativo di costruzione della tensione o del ritmo cerchino i registi, i documentari di guerra soffrono dalla vocazione alla retorica del commentatore, che rimane sempre, nel testo e nella magniloquenza dello speaker, vicino ai cinegiornali. Questo anche perché la realizzazione dei documentari di guerra è affidata alla redazione del cinegiornale. Il documentario bellico del Luce riesce a volte a drammatizzare gli eventi con uno stile innovativo, inquadrature da documentario artistico, e montaggio serrato, ma nessuno può tenere il paragone con i documentari tedeschi.

Dall’inizio del conflitto fino al 1943 il Luce produce una trentina di documentari bellici. Tra i più importanti: “La Battaglia dello Jonio” (1940) senza regia, ripreso dall’operatore capo del Luce Angelo Jannarelli, ha sequenze impressionanti di riprese sull’incrociatore in balia delle onde; “Tempesta sui Balcani” (1941) di Romolo Marcellini, dedicato alla guerra aerea durante il conflitto italo-greco contiene dei piani di soldati feriti trasportati in barelle e un gruppo di alpini mal calzati mentre camminano nella neve; “Mine in Vista” di Francesco de Robertis è un curioso tentativo di coniugare un racconto tecnico di sminamento con i volti e i sentimenti degli sminatori. E poi “Ali fasciste” di Fernando Cerchio, “Grano fra due Battaglie” di Romolo Marcellini, “Guardia al Cielo” di Vittorio Gallo, e sempre di Romolo Marcellini (il più proficuo dei registi, solo nel 1941 dirige quattro film) “Vita e fine della San Giorgio”. Su quest’ultimo film racconta un curioso episodio il regista Mario Bava: “Il bombardamento che fa vedere l’Istituto Luce è un trucco catastrofico di mio padre ed anche mio. Ce lo siamo inventati a Cinecittà.”. Bava parla del bombardamento di Malta, ma giustamente Mino Argentieri identifica in quel racconto “Vita e fine della San Giorgio”. Nella scena finale del film, visibile su archivioluce.com, è infatti facilmente riconoscibile “il trucco” di una finta ripresa aerea - realizzata allontanando lentamente dall’obiettivo una fotografia aerea - e “l’esplosione” della nave al centro della foto, realizzata sicuramente con la fiammata di un cerino che buca la foto da sotto.

Ma l’esempio di “messa in scena”, anche se forse non è unico, è un’eccezione. Gli operatori del Luce seguirono il conflitto bellico su tutti i fronti. Molti non tornarono più. “Giornalisti, fotografi, cinematografisti, radiocronisti in guerra” è il documentario di guerra che li ricorda. Comincia con un cartello: “Il posto dei giornalisti, degli operatori e dei fotografi di guerra è accanto ai combattenti. Spettatori delle azioni più rischiose.” Segue un lungo elenco di caduti.

Pubblicato per la prima volta sul numero 65 della rivista ‘8 ½ – numeri, visioni e prospettive del cinema italiano’ edita da Cinecittà SpA con il titolo "Il documentario si mette in divisa"

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sul numero 65, novembre 2022, della rivista ‘8 ½ – numeri, visioni e prospettive del cinema italiano’ edita da Cinecittà SpA, dedicato al tema  ‘Il cinema italiano e il fantasma della guerra’ con approfondimenti su come i media italiani e il cinema in primis hanno raccontato la guerra, su come l’hanno messa in scena, e sugli effetti che tale rappresentazione ha prodotto e può produrre sull’immaginario collettivo e sulle convinzioni individuali.

Tutti i numeri di ‘8 ½ – numeri, visioni e prospettive del cinema italiano’ sono disponibili online e si possono consultare per intero qui.

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