Carlo Vanzina dagli esordi al successo

A cinque anni dalla scomparsa un ricordo di Carlo Vanzina intervistato nel 1988 da Enrico Magrelli

Io ho cominciato come tutti, facendo la trafila classica, facendo l’assistente con Mario Monicelli e da lì è cominciata una collaborazione con Mario che è durata undici film e dopo di che ho cominciato a fare film per conto mio. Però ho fatto l’apprendistato con un grande maestro. Poi ho collaborato anche con alcuni film di mio padre (Steno) e di Alberto Sordi come regista“.

Inizia così questa chiacchierata di Carlo Vanzina con Enrico Magrelli nel 1988. Di Monicelli, prosegue Vanzina, gli piaceva il fatto che faceva del cinema umoristico ma con punte drammatica e ammirava molto i suoi film perché erano corali, non c’entrati su un solo personaggio.

Parla poi del suo primo film, Luna di miele in tre, prodotto e interpretato da Renato Pozzetto e sceneggiato dal fratello Enrico: inizia da subito quindi il sodalizio che legherà i due Vanzina per tutta la vita. Il film “andò bene ma non benissimo” ma girare il secondo film fu, come spesso capita, molto più complicato. Vanzina cercava attori che conosceva, di cui era amico, Mastroianni, Tognazzi, che però non erano convinti del progetto e forse non si fidavano di un regista ancora alle prime armi. Dopo tre anni girò un lungometraggio con Alan Sorrenti, cui seguì Arrivano i gatti. Da lì iniziò il successo, che diventò clamoroso nel 1981 con I fichissimi, “un film che costò 400 milioni e incassò 8 miliardi“, con Diego Abatantuono che interpretò molti film con il regista romano.

Il mio primo film vero, pensato, fu Sapore di mare, un film che volevo fare e che nessuno mi voleva far fare e che poi si è rivelato un grande successo e che fu per me un’enorme soddisfazione” Fu il primo di una serie di film “che mi somigliano un po’ di più“.

Poi Vanzina parla di tecniche cinematografiche, di altri generi che ha affrontato e conclude evocando il rapporto mai facile con i critici cinematografici: “Non me li sono mai filati i critici, nel senso che non mi condizionano minimamente. Io devo dire che c’è una cattiveria esagerata anche perché io credo che il mio cinema abbia aiutato la cinematografia italiana negli ultimi dieci anni, creando filoni e dando lavoro a moltissime persone. Nello stesso tempo quando i successi non sono casuali ma durano per quasi dieci anni qualcosa deve esserci e poi a me la critica che mi importa di più è quella delle persone che mi stanno vicine, dal giornalaio al benzinaio, all’amico che non rivedo da tanto tempo. La domanda che gli autori devono farsi quando si apprestano a girare un film deve essere se questo piacerà al pubblico e non se piacerà al critico“.