L’inquilino del Quirinale

Si elegge il nuovo presidente della Repubblica

Il successore di Sergio Matterella, che verrà eletto nei prossimi giorni, sarà il 14° Presidente della Repubblica, contando anche Enrico De Nicola, che fu capo dello Stato provvisorio dal 1946 al 1948, durante i lavori dell’Assemblea Costituente che doveva definire il nuovo assetto istituzionale della nazione, e il doppio mandato di Giorgio Napolitano.

L’Italia è una repubblica parlamentare nella quale ruolo e funzioni del Capo dello Stato sono stabiliti dagli articoli della Costituzione che vanno dall’83 al 91: : in essi, tra le altre cose, si sancisce che il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento convocato in seduta congiunta (Camera e Senato) con l’aggiunta dei rappresentanti delle Regioni e dura in carica sette anni. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.  Ratifica i trattati internazionali, previa autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Al termine del mandato il presidente, che al momento dell’elezione deve aver superato i cinquant’anni di età, viene nominato senatore a vita.

I presidenti della Repubblica

De Nicola fu eletto il 28 giugno 1946 al primo scrutinio con 396 voti su 504; dimessosi il 25 giugno 1947 fu rieletto il giorno dopo al primo scrutinio con 405 voti su 431. Restò in carica fino al 12 maggio 1948. Gli successe Luigi Einaudi, eletto l’11 maggio del 1948 con 518 voti su 872. Giovanni Gronchi fu eletto Presidente della Repubblica esattamente sette anni dopo il suo predecessore e come lui alla quarta votazione, la prima in cui la maggioranza necessaria passa da due terzi al cinquanta per cento.

Per eleggere il quarto presidente della Repubblica, furono necessari nove scrutini. Alla fine al Quirinale salì Antonio Segni che ottenne 443 su 842 ma che fu costretto a dimettersi due anni più tardi dopo essere stato colpito da un ictus. Quella di Giuseppe Saragat, eletto con 646 voti su 937, fu una delle elezioni più contrastate: furono infatti necessari ben 21 scrutini, due in meno di quelli necessari per mandare al Colle Giovanni Leone, eletto il 29 dicembre del 1971 con 518 voti su 996. In seguito al suo presunto coinvolgimento nello scandalo Lochkeed, azienda aeronautica statunitense, accusata di aver pagato tangenti a politici italiani per favorire l’acquisto di una fornitura di aerei da trasporto; Leone si dimise nel giugno del 1978.

Sandro Pertini venne eletto nel luglio del 1978 con 832 voti su 995 e riuscì nel non facile compito di riavvicinare al paese un’istituzione uscita piuttosto malconcia dal precedente settennato. Se Pertini fu il presidente più anziano a salire al colle, Francesco Cossiga che gli successe, fu il più giovane: aveva 57 anni e fu eletto al primo scrutinio con 752 voti su 977. Oscar Luigi Scalfaro, eletto dopo l’attentato in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della sua scorta, fu eletto dopo sedici scrutini con 672 voti su 1.002.

Come Cossiga, anche Carlo Azeglio Ciampi venne eletto al primo scerutinio, ottenendo 707 voti su 990 mentre per Giorgio Napolitano, fu necessario arrivare al quarto scrutinio quando ottenne 543 voti su 990. Napolitano è al momento l’unico presidente ad essere stato riconfermato: nell’aprile del 2013 venne eletto alla sesta votazione, con 738 voti su 997.

Per eleggere Sergio Mattarella furono necessari quattro scrutini e 665 voti.

Da questa panoramica è possibile notare l’assenza di almeno due tra i maggiori protagonisti della politica italiana del secondo dopoguerra: Giulio Andreotti e Aldo Moro, e quella macroscopica di una donna. Molti nomi sono stati fatti nel corso dei decenni, da Tina Anselmi a Nilde Iotti, da Emma Bonino a Rosi Bindi, il cui nome è circolato anche in questi giorni. Ma non se n’è mai fatto nulla: gli uomini, evidentemente, fanno fatica a cedere i posti di comando.