Piazza Fontana, una bomba, la strategia della tensione

Il 12 dicembre 1969 i diciassette morti di piazza Fontana cambiano il corso della storia del paese

Piazza Fontana, 12 dicembre 1969, una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano. I morti furono 17 e i feriti 88.

Il 12 dicembre 1969 è una di quelle date che cambiano il corso della storia di una nazione: mai prima di allora l’omicidio era entrato a far parte della dinamica politica del paese. Quei morti, come sembra storicamente accertato, servivano a mettere fine a un biennio di grandi lotte e a imprimere una svolta autoritaria al governo. Fu la perdita dell’innocenza e l’inizio di quella che venne chiamata la strategia della tensione.

Seguirono altri attentati: il 28 maggio 1974 una bomba esplode in piazza Della Loggia a Brescia nel corso di una manifestazione antifascista causando 8 morti e 94 feriti; il 4 agosto dello stesso anno è la volta del treno Italicus, all’altezza di San Benedetto Val di Sambro: 12 morti e 105 feriti. E poi il 2 agosto 1980, la stazione di Bologna che con i suoi 85 morti e oltre 200 feriti, segna il punto più alto di crudeltà conosciuta dall’Italia repubblicana.

Le indagini prendono subito una direzione univoca: magistratura e polizia non hanno dubbi, i colpevoli sono gli anarchici. La sera stessa dell’attentato partono numerose retate negli ambienti della sinistra extra parlamentare. Vengono arrestate più di ottanta persone tra le quali Giuseppe Pinelli, un ferroviere anarchico. Trattenuto negli uffici della questura di Milano per tre giorni senza che gli fosse mossa nessuna accusa specifica e senza che il magistrato ne avesse convalidato il fermo, viene interrogato dal commissario Luigi Calabresi e dai suoi uomini. Il 15 dicembre l’uomo precipita dal quarto piano della stanza del commissario. Lascia una moglie e due figlie piccole che da alllora cercano una risposta credibile a ciò che avvenne quella notte nelle stanze del quarto piano di via Fatebenefratelli, sede della Questura centrale.

Il commissario Calabresi, probabilmente non presente nella stanza quando Pinelli cadde, fu ucciso anche lui nel maggio del 1972.

A Catanzaro, nel 1977, il processo per la strage di Piazza Fontana

Il 16 dicembre un giovanissimo Bruno Vespa, al TG della sera annuncia l’arresto del colpevole dell’orrendo crimine: si tratta di Pietro Valpreda, ballerino anarchico contro il quale grava la testimonianza di Cornelio Rolandi, un tassista che riconosce in lui l’uomo che ha accompagnato a piazza Fontana proprio intorno a l’ora in cui è scoppiata la bomba nella banca dell’agricoltura, per un tragitto di appena 112 metri.

Mai condannato per la strage, Valpreda resterà in carcere tre anni in attesa di giudizio e continuerà ad essere coinvolto in tutti i processi che si sono susseguiti nel corso degli anni, anche quando le indagini prenderanno una diversa direzione e si concentreranno sugli ambienti del neofascismo veneto.

Essendo trascorso più di mezzo di secolo dai fatti, molti dei protagonisti, volontari o meno, di questa vicenda sono scomparsi: da Pino Pinelli a Pietro Valpreda, da Luigi Calabresi a Marcello Guida, da Giovanni Ventura a Guido Giannettini.

La strage di Piazza Fontana, da un punto di vista processuale, resta senza colpevoli. L’ultimo processo a carico di Delfo Zorzi, neofascista di Ordine Nuovo, dopo una condanna in primo grado, si è concluso con l’assoluzione in appello, assoluzione confermata dalla Cassazione con la beffa del risarcimento delle spese processuali a carico dei parenti delle vittime.

Ma in quella stessa occasione la suprema Corte stabilì quella che, molti, da subito avevano capito fosse la verità: responsabili della strage erano Giovanni Ventura e Franco Freda e con loro il mondo che ruotava attorno ai gruppi neofascisti veneti. Già assolti in un precedente dibattimento per lo stesso reato i due non potevano essere condannati.

Pietro Valpreda e gli anarchici

Se non conosciamo i colpevoli sappiamo chi sono gli innocenti di questa tragica storia: innocenti sono le 17 vittime, innocenti erano gli anarchici e specificatamente Pietro Valpreda e Pino Pinelli, alle cui figlie, proprio in occasione dei cinquant’anni della strage, il sindaco Giuseppe Sala ha chiesto scusa a nome della città di Milano.

Paolo Emilio Taviani, uno dei più eminenti esponenti della Democrazia Cristiana, più volte ministro degli interni, durante un’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo, dichiarò: “Santillo mi disse di essersi convinto che la matrice della bomba di Milano sarebbe stata un gruppo di estrema destra, emarginato dal Movimento sociale e proveniente dal Veneto. Questo gruppo sarebbe stato protetto da uomini del Sid. Aggiunse che tali notizie erano già note alla magistratura: qualcosa del resto era già filtrato sui giornali. Il giorno successivo convocai il capo della polizia Zanda Loy e gli chiesi se confermava il giudizio di Santillo e se concordava con lui che eventuali operazioni di depistaggio fossero state compiute da uomini del Sid“.