Un disastro annunciato, il Vajont

Erano passate da poco le 22:30 del 9 ottobre 1963 quando l'acqua tracimata dalla diga del Vajont cancella sei paesini e causa quasi 2000 morti

Fra le lacrime i pochi scampati riescono a dire una sola frase: si poteva evitare. E subito sono emersi dubbi, sono affiorate circostanze allarmanti: chi doveva controllare ha controllato? Chi doveva intervenire è intervenuto? Chi doveva prendere precauzioni le ha prese?“.

Sono passati nove giorni quando La Settimana Incom commenta con queste parole quanto avvenuto nel Vajont: una frana staccatasi dal monte Toc alle 22.39 del 9 ottobre del 1963 precipita nella diga sottostante. Le acque spazzeranno via sei paesi causando più di duemila morti.

Quella del Vajont è una storia lunga, che inizia nel 1928, quando il geologo Giorgio Dal Paz indica la valle come sede di una diga. Attraversa gli anni del regime e arriva fino al 1962, l’anno della nazionalizzazione dell’energia elettrica, una tappa fondamentale: la SADE, Società Adriatica di Elettricità, che gestisce la diga dall’inizio, dovrà cedere tutte le attività allo Stato e una struttura come quella del Vajont vale molto di più se già funzionante: ne segue una brusca accelerazione dei lavori.

Come si intuisce facilmente dalle parole del cinegiornale, quella del Vajont appare da subito come la cronaca di una tragedia annunciata. Tina Merlin fu una delle prime giornaliste a denunciare con forza i rischi che si correvano. Così scriverà a tragedia avvenuta: “Non sono né più brava né più coraggiosa di tanti miei colleghi. Non volevo certo diventare famosa per un fatto così tragico quando scrivevo contro la Sade. Volevo semplicemente impedire che questo disastro colpisse i montanari della terra dove sono nata, dove ho fatto la guerra partigiana, dove ho vissuto tutta la mia vita. E ora non riesco neanche a esprimere la mia collera, il mio furore per non esserci riuscita”.