Gian Maria Volonté, tra cinema e politica

Il 6 dicembre di trent'anni fa Gian Maria Volonté muore durante le riprese de Lo sguardo di Ulisse di Theo Angelopoulos

Il 6 dicembre del 1994, mentre era sul set del film Lo sguardo di Ulisse, di Theo Angelopoulos, Gian Maria Volonté muore colpito da un infarto fulminante.

Volonté ha interpretato molti film e di genere diverso lavorando con Sergio Leone, Nanni Loy, Carlo Lizzani, i fratelli Taviani, Elio Petri e molti altri.

La cifra principale del suo cinema è sempre stato l’impegno: da Un uomo da bruciare a Sacco e Vanzetti, da A ciascuno il suo a I sette fratelli Cervi, da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto a Uomini contro, Sbatti il mostro in prima pagina, Il caso Mattei, Todo modo e Il caso Moro, solo per citarne alcuni. Ma è stato anche tra i protagonisti de L’armata Brancaleone di Monicelli.

 

Nel 1986, otto anni dopo i fatti raccontati, il regista Giuseppe Ferrara decide di portare sul grande schermo Il caso Moro. Per la sceneggiatura si avvale della collaborazione di Armenia Balducci e di Robert Katz che al rapimento e l’uccisione del leader democristiano ha dedicato il libro I giorni dell’ira,  uscito in Italia nel 1982. Gian Maria Volonté interpreta il leader democristiano i cui panni aveva già indossato dieci anni prima in Todo Modo di Elio Petri: ‘il presidente’, nella cui figura era facilmente riconoscibile il politico pugliese.

Intervistato nei giorni dell’uscita del film Volonté rilascia un’intervista, ora nel fondo Canale, nella quale, oltre a parlare del suo personaggio, si sofferma sul mestiere dell’attore: “Del mestiere di fare l’attore se ne sa molto poco e se ne dice molto poco o solo negli ambiti dove si formano queste discipline, queste specializzazioni. Il mestiere dell’attore è riconducibile a due tre grandi correnti culturali, tipo ci si può riferire a Stanislavskij e ci si può riferire a Brecht. Con Stanislavskij si procede per vie interne, con Brecht si strania, si prende una distanza. Allora se io devo rappresentare la maschera di Aldo Moro nel film di Petri, tratto da un racconto di Sciascia, è chiaro che uso degli strumenti. Se invece mi devo avvicinare alla tragedia di un uomo, come in questo caso, è il mio referente è il lavoro della Balducci, di Ferrara e di Robert Katz, della nostra memoria, è certo che il procedimento tecnico è completamente diverso. Poi si potrebbe anche pensare che mentre l’attore suscita una profonda emozione attraverso l’interpretazione di una tragedia, in realtà sta pensando in quale trattoria andrà a mangiare dopo lo spettacolo“.