Francesco Rosi, il cinema e la televisione. Un’intervista di metà anni Novanta

Il 15 novembre 1922 nasceva Francesco Rosi, un regista tra impegno politico e trasposizioni letterarie

Il cinema è poesia, il cinema è racconto, è emozione. Il cinema è memoria

Io amo il cinema e vedo tutto quello che mi capita di vedere“. Inizia così questa intervista, inedita sul nostro portale, che Francesco Rosi rilasciò a Donatella Baglivo a metà degli anni Novanta. Al centro del suo racconto c’è il rapporto tra cinema e televisione che non è sensato condannare senza appello, dipende soprattutto da come la si fa: “I primi anni in Italia la televisione ha svolto una funzione estremamente importante, pensiamo solamente a come è riuscita a far conoscere l’Italia agli italiani, a far conoscere la lingua italiana agli italiani, a farla parlare. Poi mano mano questa televisione si è impadronita di noi, ormai tutto si fa in televisione“. Ora comanda l’audience e nella guerra spietata tra televisione pubblica e reti private la prima ha finito per adeguarsi ai meccanismi e ai temi delle seconde. La causa va ricercata, aggiunge il regista napoletano, nella totale mancanza di regole che ha finito per creare una giungla dove non c’è rispetto per nulla, a cominciare dal cinema. Le televisioni “vivono dei film senza dare neanche un centesimo di diritti agli autori dei film. Perché questo il pubblico non lo sa che noi autori di film non prendiamo una lira dai nostri film che passano in televisione“.

Dalla televisione al paese il passo è breve: “Questo è un paese senza regole, un paese dove la regola non esiste e quando esiste non viene rispettata. Siamo così, individualisti“.

L’augurio per il futuro del cinema in Italia è che i nuovi talenti, che ci sono, decidano di raccontare delle storie che siano collegate con il paese, con la collettività e non solo con i loro problemi personali.

Le ultime parole sono dedicate alla bellezza che c’è nel girare un film. Una grande famiglia che si riunisce per concretizzare un’idea in principio astratta.