Lucio Villari storico e intellettuale

Scomparso il 17 marzo all'età di 91 anni Villari è stato un grande storico e ha attraversato da protagonista la vita intellettuale italiana della seconda metà del ventesimo secolo

Lucio Villari, scomparso il 17 marzo all’età do 91 anni, oltre che un grande storico, è stato un intellettuale a tutto campo che ha attraversato da protagonista il mondo della cultura italiana. In questa intervista risalente al 2013 racconta la sua esperienza di militante comunista nella Roma degli anni Cinquanta e Sessanta. Inizia parlando dei suoi svaghi: “I miei svaghi in quegli anni erano nell’ordine il cinema dove si andava un giorno sì e un giorno no e le gallerie d’arte che erano molto diffuse a Roma e molto importanti dove non solo avvenivano mostre quotidianamente ma si incontravano gli artisti si parlava con gli artisti si riusciva a dialogare tranquillamente in un clima di autenticità e di incontro“.

C’era poi il teatro con gli spettacoli, anche in piccoli ritrovi, di Moravia, Pasolini, Siciliano e le prime provocazioni di Carmelo Bene. In quegli anni “io entrai in rapporto di amicizia con Eduardo De Filippo col quale ho seguito diciamo questa sua esperienza teatrale fatta all’Eliseo soprattutto e anche al Quirino qualche volta, che per me fu fondamentale perché attraverso di lui capii non solo i segreti del suo teatro ma capii pure il fascino di questo teatro romano“.

Villari racconta poi la sua esperienza di uomo legato la Partito Comunista Italiano: “Spesso partecipavo alle riunioni dell’Istituto Gramsci che riguardavano temi culturali, storici anche temi letterari e artistici perché il partito comunista aveva una parte diciamo di controllo della cultura romana“. Parla diffusamente anche delle divisioni esistenti tra gli intellettuali comunisti e racconta: “Io ero amico di Fellini e Fellini mi diceva: “ma voi di sinistra siete fissati con Brecht ritenete che Brecht sia importante. Non è vero niente” e io assorbivo queste critiche che venivano da un artista come Fellini perché mi sembrava che lui esprimesse una libertà creativa maggiore di quanto talvolta non esprimessero artisti che erano più agganciati politicamente alla politica culturale del partito comunista”

Nel Partito Comunista c’erano delle chiusure che generavano anche scontri tra gli intellettuali, scontri che però rimanevano quasi sempre confinati all’interno delle riunioni di partito e difficilmente apparivano all’esterno: “Una volta si facevano delle riunioni su temi che riguardavano il realismo oppure non so la cultura figurativa e capivo che Guttuso non era d’accordo con altri artisti suoi contemporanei; che per esempio Luporini come filosofo marxista non è che fosse d’accordo sempre con quello che diceva Badaloni un altro filosofo marxista. Ritenevo che Ranuccio Bianchi Bandinelli, che fu presidente del Gramsci, fosse più aperto di quanto non lo fossero stati o non lo saranno altri presidenti dell’Istituto Gramsci“.

Parlando specificatamente del mondo del cinema e in particolare di quanto la nascita dei movimenti del Sessantotto e di nuovi registi tipo il Bellocchio de I pugni in tasca avesse influenzato il mondo del cinema, della politica e della cultura, Villari è molto netto: “Non sono riusciti a incidere realmente sull’evoluzione naturale di questo clima culturale e artistico di Roma e alla fine sono stati elementi secondo me di disturbo non di rinnovamento. Io non ritengo che abbia dato un contributo. Questa cosa l’aveva percepita Pasolini già dai tempi delle contestazioni studentesche alla facoltà di architettura“.

Successivamente, parlando della rivoluzione apportata dal cinema e poi della televisione, Villari non dimentica di citare l’importanza fondamentale che ha avuto la fotografia: “che coglie la realtà nella sua verità. Questa è una scoperta che che in Italia avviene un po’ più tardi rispetto ad  altri paesi ma che corrisponde esattamente a questo trasferimento dei linguaggi che secondo me è stata una cosa molto bella creativa e innovativa “.

In ultimo Villari racconta il motivo per cui Ettore Scola lo scelse per fare il padrone di casa ne La terrazza. Il regista voleva sottolineare come anche un intellettuale, un professore universitario, potesse fare una vita mondana, cosa che effettivamente avveniva perché lo storico e la moglie ricevevano spesso artisti e intellettuali nel loro salotto romano: “Io mi son trovato benissimo lavorando alcuni mesi insieme con Mastroianni, Gassman, Tognazzi, Trintignant che diciamo era il meglio del cinema italiano di quel tempo“.  E svela che la scena finale del film, nella quale, al pianoforte, suona brani della tradizione canora italiana degli anni Trenta e Quaranta, fu proprio lui a suggerirla a Scola.